TORINO #11L: RIBALTIAMO IL VERTICE!

by / Commenti disabilitati su TORINO #11L: RIBALTIAMO IL VERTICE! / 106 View / 4 Giugno 2014

L’11 Luglio a Torino si terrà il vertice europeo sulla disoccupazione giovanile, il primo dopo le elezioni del 25 Maggio e il primo del semestre italiano di presidenza del Consiglio dell’UE. I premier e i ministri della gioventù d’Europa si riuniranno in uno dei Paesi coi tassi di disoccupazione giovanile più alti del Continente (oltre il 46%) per concordare politiche comuni che vadano nella direzione di ridurre la percentuale di inoccupati, considerata una delle cause maggiori della scarsa competitività dell’economie europee e ostacolo all’uscita dalla crisi.

Conosciamo sin da ora il teatrino mediatico a cui assisteremo: dalle stanze blindatissime in cui si svolgerà il vertice tutti dichiareranno prioritario nella propria agenda di Governo affrontare il “dramma” della disoccupazione giovanile, descrivendolo alla stregua di un fenomeno atmosferico abbattutosi sull’Europa e non come il frutto di politiche ben precise di precarizzazione del mondo del lavoro, tagli al welfare e all’istruzione, riduzione dei salari e dei diritti, portate avanti dalle stesse forze neo-liberiste che oggi esprimono quei Premier che verranno a Torino a gridare l’allarme sulla situazione a cui si è giunti, senza nessun’assunzione di responsabilità sulle cause che l’hanno prodotta.

Conosciamo anche quale sarà l’esito di quest’incontro: ci racconteranno ancora una volta la favoletta della flessibilità, quella secondo cui dalla disoccupazione si esce soltanto precarizzando ulteriormente il mercato del lavoro, ci spiegheranno di nuovo che il problema dei giovani è che siamo “choosy” e bamboccioni, per poi dire che serve ancora più meritocrazia e selezione, ci diranno che il problema sono le nostre scuole e le nostre università troppo poco collegate con le esigenze del mercato, così potranno tagliare di nuovo sull’istruzione e potenziare il ruolo dei privati nel mondo della formazione.

Conosciamo le risposte perché sono le stesse che quei Governi dell’austerità ci hanno dato in questi anni e di cui migliaia di nostri coetanei continuano a farne le spese.

A livello europeo i risultati di questa tornata elettorale confermano d’altro canto come la prosecuzione delle larghe intese in nome di una prosecuzione – magari più attenuata e condita da misure per la ‘crescita’ – dell’austerità sia quasi certa. In Italia la vittoria elettorale di Renzi è soprattutto trionfo del singolo, ancora prima che del suo partito, ed è un sintomo di quanto la riduzione della politica a spettacolo e la torsione autoritaria e leaderistica della democrazia siano in una fase avanzata. La campagna elettorale con cui hanno coinciso questi primi mesi di governo Renzi è riuscita cioè nel suo intento: mascherare attraverso la retorica del cambiamento e della rottamazione un Governo che nella sostanza della sua azione continua ad essere fortemente legato a quelle ricette che ci hanno condotto a questa situazione.

Il voto di protesta, in Europa, pur non mettendo in crisi i rapporti di forza esistenti, non manca e anzi esplode in forme contrastanti. Una fetta consistente del disagio sociale diffuso è stato raccolto dalle destre antieuropeiste, come il Front National in Francia e lo Ukip in Inghilterra. Si rafforzano così progetti politici non solo privi di slancio emancipatorio rispetto alle disuguaglianze e alla violazione dei diritti sociali nel nome del mercato, ma anche rivolti a prospettive esplicitamente nazionaliste e autoritarie come risposta agli errori della governance europea. In Italia la perdita di consenso di Grillo rispetto alle elezioni politiche dello scorso anno non ridimensiona tout court il ruolo del M5S e la potenza carismatica del suo leader, anzi conferma che la polarizzazione politica si sta sempre più orientando lungo l’asse retorico sistema-antisistema, dominato da due partiti che, con forme e modalità differenti, possono ascriversi alla categoria “pigliatutto”. Certo è che la campagna elettorale italiana, polarizzata tra le dichiarazioni dei Leader, Grillo e Renzi, rieccheggiate per giorni sui media mentre si rispondevano vicendevolmente dai palchi a chiusura della campagna elettorale, non ha dato minimamente spazio ad una riflessione sul significato e sulle criticità dell’Unione Europea oggi, ma ha al massimo spostato il dibattito ancora una volta sulla situazione nazionale.

Fuori dalle urne c’è però molto altro. Non ci riferiamo soltanto ai dati sull’astensionismo, che, sebbene in calo continuano a dirci che una fetta consistente dei cittadini europei è fuori dai meccanismi della democrazia rappresentativa, ma anche e soprattutto a quanto è rimasto ai margini del dibattito elettorale e che deve necessariamente diventare centrale nel semestre europeo che il vertice di Torino apre. Sono i temi del reddito minimo e della precarietà, del welfare universale, del diritto allo studio, è la dignità delle vite di chi ha subito la crisi in questi anni a dover riconquistare centralità. La crisi della democrazia è una crisi che ha a che fare con la giustizia sociale, con l’esclusione materiale delle persone dall’accesso ai diritti e dalla partecipazione politica. Il vulnus democratico che non investe soltanto i partiti ma anche tutte le forze sociali,è il vuoto di aggregazione  e l’assenza di percorsi di rappresentanza sociale-politica inclusivi, capaci di intercettare chi subisce la marginalizzione.

Viviamo in un Paese con un tasso di laureati nella popolazione attiva tra i più bassi dell’Unione, eppure gli stessi laureati fanno molta più fatica che in altri Paesi ad inserirsi nei percorsi lavorativi. La disoccupazione di oggi proviene prevalentemente da percorsi di formazione medio-alta, spesso ben oltre l’obbligo scolastico, ed è appunto composta da una generazione che ha visto le proprie aspirazioni e i propri desideri infrangersi contro la retorica della società della conoscenza, che avrebbe dovuto garantire benessere per tutti e invece ha amplificato precarietà ed esclusione sociale.

Non vogliamo né crediamo sia possibile arrendersi alle miserie della nostra generazione, crediamo serva attivarsi percontrastare gli attracchi che il Jobs Act, il decreto Lupi e altri provvedimenti di questo Governo rappresentano, organizzarsi per ribaltare un modello produttivo obsoleto, insostenibile dal punto di vista sociale e ambientale.

Non ci si può accontentare di rivendicare semplicemente il lavoro. Abbiamo vissuto sulla nostra pelle questi anni di crisi non solo economico-finanziaria ma anche sociale e ambientale, ed esigiamo di poter decidere quale lavoro, quali forme di welfare, quali modelli di democrazia costruire nel nostro Continente.

Per questo crediamo sia necessario ribaltare il vertice. Ribaltare il processo democratico, senza limitarsi ad una contrapposizione al summit ma costruendo momenti di partecipazione e mobilitazione dal basso capaci di riprendere parola contro e oltre questo modello di Unione Europea; ribaltare l’ordine del discorso, rompendo la retorica della disoccupazione giovanile come accidente tecnico o come inclinazione culturale di una generazione ignava; ribaltare le priorità politiche, per mettere al centro del dibattito il radicale ripensamento della formazione, del welfare, della democrazia, del modello di sviluppo a livello continentale.

Sono già tanti i soggetti che si stanno muovendo verso e oltre il vertice, alcuni dei quali si sono incontrati all’assemblea nazionale che si è svolta a Torino il 31 di Maggio, soggetti che hanno animato le mobilitazioni e le campagne sociali di questi anni. A luglio a Torino è necessario iniziare a costruire il contro-semestre europeo, un semestre sociale di mobilitazione per conquistare assieme diritti e dignità. Per questo crediamo serva costruire a Torino, in occasione dell’ennesima riunione a porte chiuse dei potenti, spazi in cui riprendere voce, costruire democrazia vera, far emergere le alternative possibili a questo modello di società. Serve un protagonismo delle larghe intese precarie, perché ricomporre la frammentarietà delle nostre condizioni è il primo passo di una presa di parola collettiva, per mobilitarsi in occasione del Summit, per immaginarsi e costruire un’Europa diversa che ponga al centro i diritti e la cittadinanza.