L’accesso all’insegnamento nella scuola pubblica degli ultimi 15 anni ha conosciuto una storia controversa: diversificazione dei canali di reclutamento, differenti sistemi di abilitazione (dalle SSIS, ai PAS e TFA), lunghi anni senza concorso pubblico e assenza di una politica di reclutamento espansiva, di lungo periodo e basata sul fabbisogno reale della scuola pubblica hanno alimentato sacche di precariato in competizione fra loro.
Quando a luglio è stata approvata la legge 107 cosiddetta Buona Scuola, il Governo Renzi ha annunciato trionfalmente l’abolizione del precariato nella scuola pubblica, avviando le assunzioni dalle Gae (Graduatorie ad esaurimento), atto non più rimandabile alla luce della sentenza della Corte europea sulla reiterazione dei contratti a termine. Tuttavia, sin da subito sono emerse le diverse contraddizioni: da un lato, non solo il limite di 36 mesi alle supplenze sui posti vacanti e disponibili si traduce in un’espulsione dell’insegnante dal mondo della scuola, ma si è anche registrata una netta chiusura rispetto alle richieste dei precari della seconda fascia che rivendicavano il valore concorsuale del titolo di abilitazione conseguita. Dall’altro, se nei prossimi giorni il Ministero emanerà il bando per il concorso a cattedre 2016 per chi possiede l’abilitazione all’insegnamento, si è aperta una stagione molto incerta per tutti coloro che intendono insegnare ma non hanno l’abilitazione, quindi a tutti i neolaureati e docenti di terza fascia.
L’incertezza deriva soprattutto dal fatto che il processo di revisione della formazione iniziale degli insegnanti è stato affidato ad una delega al Governo, contenuta nel testo della legge. La delega introduce un nuovo sistema, per cui un neolaureato deve conseguire almeno 24 crediti di materie antropo – psico – pedagogiche per poter partecipare ad un concorso i cui numeri dipenderanno dalla previsione del fabbisogno su base triennale.
Chi supererà il concorso avrà la possibilità di frequentare un anno di specializzazione al termine del quale sarà valutato. In caso di esito negativo egli potrà ripetere l’anno per un’ altra volta mentre in caso di esito positivo il futuro docente potrà accedere a due anni di tirocinio in cui egli assumerà gradualmente le funzioni di docente. Al termine di questi due anni è previsto un nuovo step di valutazione che, se superato, porta finalmente all’assunzione a tempo indeterminato. Gli anni di formazione iniziale sono retribuiti “tenendo conto della graduale assunzione del ruolo di docente”.
Così ci siamo lasciati a luglio. Da allora si sono registrati numerosi interventi del Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini in cui prometteva l’attivazione di un nuovo ciclo di Tfa quale disciplina transitoria prima dell’ entrata a regime del nuovo sistema – così come previsto per altro dalla 107 – ma nulla di concreto. Fino ad inizio ottobre, quando sono partiti i tavoli di ascolto e confronto sulle deleghe della Buona Scuola da parte di Ministero e Partito Democratico.
Da questi tavoli sono emerse alcune problematiche ulteriori riguardanti il nuovo sistema di abilitazione. Ne citiamo due principali: uno riguarda tutti i macchinosi passaggi di valutazione durante e a conclusione del percorso di formazione degli insegnanti. Al momento non è chiaro come e chi effettuerà questa valutazione nonostante l’astratto riferimento a linee guida nazionali presenti nel testo della legge. Un buon processo valutativo deve essere notoriamente il più democratico e collegiale possibile, anche se la tendenza ad accentrare responsabilità e poteri presente nella Buona Scuola non costituisce un buon punto di partenza. Ma le modalità non sono l’unico aspetto critico di questa valutazione: la stessa presenza di uno step valutativo è molto problematica poiché implica che i candidati selezionati sulla base del fabbisogno tramite concorso pubblico debbano ancora attendere il responso, sicuramente meno oggettivo di un concorso, di una non meglio definita valutazione per potersi dire insegnanti. Sarebbe caso unico nella pubblica amministrazione (escluse le università che hanno però un loro specificità) e che rischia di conferire potere discrezionale al dirigente scolastico, legittimando il sistema della chiamata diretta a discapito del principio dell’assunzione per concorso.
Problematico resta anche il nodo dei 24 crediti di materie didattico pedagogiche che andrebbero conseguiti per potersi iscrivere al concorso. Essi possono essere conseguiti sia come crediti curricolari che aggiuntivi. Nel primo caso essi incidono profondamente sul percorso universitario dello studente – che si trova a ridurre gli esami necessari alla sua specializzazione – nel secondo essi rischiano di incidere profondamente sulle sue tasche, dal momento che, come è noto, conseguire crediti aggiuntivi può essere molto dispendioso sia in termini di tempo che di denaro.
Tutta un’ altra partita è invece quella della disciplina transitoria che dovrebbe condurci al nuovo sistema di formazione iniziale. Tale percorso sembrava essere stato individuato in un TFA inizialmente, che avrebbe dovuto essere bandito entro l’anno. Ma il bando, nonostante le dichiarazioni della Ministra, è in grande ritardo. A cosa può essere dovuto?
Facciamo un attimo due conti: le tanto sbandierate assunzioni messe in atto dalla Buona Scuola ammontavano a 100.000 unità; queste assunzioni però non hanno svuotato le Gae che “ospitano” ancora circa 50000 insegnanti. In subordine a queste assunzioni si aggiungerà quindi il concorsone 2015 – previsto per dicembre – che bandirà circa 63000 posti. E’ rivolto ai precari abilitati della seconda fascia. Peccato che tra abilitati TFA, PAS, laureati in Scienze della Formazione Primaria e laureati magistrali prima degli anni 2001/2002 siano previsti più 200.000 possibili aspiranti a tale concorso. In questo balletto di numeri si può vedere con chiarezza quanto le soluzioni messe in campo dalla legge 107 siano profondamente parziali per risolvere il problema del precariato degli insegnanti.
A questo punto è evidente come l’attivazione di un nuovo TFA, che noi abbiamo richiesto in tempi non sospetti per non lasciare senza soluzioni i neo-laureati, possa creare un’ulteriore contraddizione ad un Governo che si è di fatto rifiutato di mettere in atto un piano pluriennale di assunzioni per assorbire nel tempo gli aventi diritto. Il rischio è infatti di abilitare una nuova classe di futuri insegnanti che poi dovrebbe in qualche modo inserirsi nel sistema dei concorsi attivati con il nuovo sistema, pur avendo già conseguito l’abilitazione. Siamo quindi di fronte ad un nuovo impasse, che rischia ancora una volta di lasciare nell’incertezza migliaia di neolaureati che vorrebbero insegnare e di sottrarre alla scuola pubblica moltissimi giovani insegnanti nel prossimo futuro. Chiediamo, quindi, con forza che la tematica del regime transitorio venga affrontata con serietà ed urgenza, affinché l’entrata in vigore del nuovo sistema non si traduca in uno schiacciasassi per i laureati di questo e dei prossimi 3 anni accademici e gli abilitati che non saranno assorbiti con l’imminente concorso a cattedre.