In questi giorni si sta tanto dibattendo della Scuola Normale Superiore di Pisa e della possibilità di apertura di un nuovo polo d’eccellenza, la Scuola Normale Superiore Meridionale, a Napoli, nelle strutture dell’Università Federico II. Durante la discussione in Legge di Bilancio, è stato approvato un emendamento, che prevedeva lo stanziamento di 91 milioni di euro fino al 2025 per l’apertura della scuola d’eccellenza a Napoli.
Ciò che maggiormente ci rammarica sono il livello e gli elementi che sono stati posti come centrali all’interno di questo dibattito, che palesa quale sia il modo di parlare di Università all’interno del nostro Paese, quali le priorità dei Rettori e del Governo, quali le forme di discriminazione messe in atto da un sindaco, e, soprattutto, l’assoluta volontà di ignorare la voce di chi negli atenei nel Paese studia e lavora, come gli studenti e la comunità accademica tutta.
Voce chiara degli studenti e delle componenti accademiche, riunite in assemblea proprio alla Normale di Pisa, in cui si denunciava la mancanza di democraticità nella decisione del direttore di aprire un nuovo polo a Napoli, che mostra in che modo troppo spesso vengano prese le decisioni nei nostri atenei, e in cui si è analizzato il sistema universitario in termini complessivi, per chiarire come le priorità non siano nuovi poli di eccellenza ma un rifinanziamento e un intervento strutturali. A questa importante iniziativa, offuscata dalla piega presa dal dibattito, si oppongono invece altre voci, figlie della retorica dell’eccellenza che da dieci anni legittima la distruzione, il sottofinanziamento costante del sistema universitario e l’aumento delle disparità fra studenti.
Per quanto non sorprendano, i festeggiamenti del sindaco di Pisa, alla notizia del parziale passo indietro sul progetto, fanno emergere non solo un atteggiamento campanilista e discriminatorio nei confronti di una parte del nostro Paese, ma anche un’idea precisa di quale debba essere il modello di sviluppo in Italia. Un modello a due velocità in cui non ha importanza che gli atenei, le conoscenze, la ricerca siano diffusi su tutto il territorio, ma anzi, in cui non si debba neanche immaginare un sistema universitario diffuso. Il sindaco parla, invece, della necessità di difendere pochi poli di eccellenza, concentrati in specifiche realtà territoriali. A queste dichiarazioni si uniscono quelle del Rettore del Sant’Anna, che sostiene l’assoluta necessità di non aprire “filiali” in altre città, perchè “per fermare la fuga dei cervelli occorre offrire alternative prestigiose nel nostro Paese”. Dall’altra, sentir parlare, da chi ha sostenuto il progetto, che il Sud debba essere salvato dall’eccellenza della Scuola Normale, è inaccettabile dal nostro punto di vista.
Un Governo che pensa di stanziare 91 milioni di euro fino al 2025 sull’apertura di un nuovo polo d’eccellenza, con la possibilità, oltretutto, essendo una sperimentazione, di mettere in crisi il percorso lavorativo di molti, evidentemente non conosce, oppure volontariamente ignora, quali siano le priorità di un sistema universitario al collasso.
Ci chiediamo come sia possibile che un Governo che stanzia 50 milioni divisi tra FFO e Diritto allo studio- rispettivamente 40 mln e 10 mln, esattamente come fatto dai precedenti, che parla di coperta corta e di soldi che non ci sono, possa pensare di investirne 91 per un unico polo, migliore degli altri.
Ci chiediamo se si conoscano le condizioni di un’Università definanziata da 10 anni, in cui i finanziamenti sono destinati a pochi dipartimenti eccellenti e il resto viene costretto a sopravvivere con l’acqua alla gola. Ci chiediamo se si conoscono le condizioni degli studenti che ogni anno non sanno se prenderanno o meno la borsa di studio, e dei lavoratori precari dell’Università, che da anni chiedono stabilizzazioni e certezze.
Ci chiediamo se il Governo e il Direttore della Normale di Pisa conoscano le condizioni in cui ogni giorni gli studenti della Federico II, al centro storico, sono costretti a vivere le loro giornate universitarie tra sedi fatiscenti e aule troppo piccole per contenere chi frequenta le lezioni. Se sappiano che a causa del definanziamento strutturale dell’Università pubblica, sempre più spesso le lezioni sono tenute da figure, quali ad esempio assegnisti di ricerca, che non dovrebbero essere deputati a farlo, e che troppo spesso i fondi disponibili sono insufficienti a sdoppiare cattedre e dunque a garantire la qualità degli insegnamenti, costringendo studenti a scegliere tra seguire una lezione in condizioni precarie o a rinunciare alle lezioni e studiare individualmente.
Ci chiediamo se il Governo e il Direttore della Normale sanno perchè ogni anno l’Università Orientale di Napoli rischia di chiudere, in una città in cui non esistono servizi, non c’è una mensa che non sia privata, e in cui c’è la volontà di utilizzare le residenze per le Universiadi, nei fatti sfrattando gli studenti borsisti.
Sappiamo bene cosa voglia dire non studiare in un dipartimento di eccellenza, in cui i finanziamenti sono inesistenti e in cui la didattica e le lezioni sono svolte da lavoratori precari, colpiti più di tutti dalle riforme degli ultimi anni e dalla mancanza di fondi. Sappiamo bene cosa voglia dire non poter accedere all’università per mancanza di servizi e diritto allo studio.
Il sistema universitario non ha bisogno di poli di eccellenza e di continuare a premiare i virtuosi con ulteriori punti organico, come ancora si vuole fare con un’ultima operazione all’interno della Legge di Stabilità, ma di un rifinanziamento complessivo e di un ripensamento che sia in grado di abbattere le disuguaglianze tra gli atenei, ormai sempre più evidenti.
In questi mesi abbiamo costruito una mobilitazione con altre componenti dell’Università, che detta priorità specifiche a questo Governo e che pretende che le scelte vadano nella direzione opposta a quella che si sta configurando.
Non resteremo in silenzio di fronte ad una discussione che fa emergere il chiaro impianto ideologico con cui si vuole parlare e intervenire sull’Università e non resteremo a guardare mentre si continuano a costruire meccanismi di riproduzione di disuguaglianze e definanziamento.