L’intervento di Marco Mancini, capo dipartimento Università del MIUR, al III Convegno di Roars si apre sul tema della quota premiale, in particolare per quello che riguarda la quota didattica. Alle sollecitazioni che vogliono che la quota premiale si trasformi in una quota aggiuntiva rispetto all’FFO Mancini risponde che nell’attuale situazione si è deciso di contenere l’impatto negativo sugli atenei dato dal suo aumento limitando la crescita del costo standard. Gli indicatori della quota premiale e del costo standard però fanno riferimento a campi diversi e non è detto in alcun modo che penalizzino gli stessi atenei, quindi la limitazione del peso del costo standard non può essere considerato uno strumento di riequilibrio per la crescita della quota premiale.
Riteniamo negativo il fatto che Mancini non abbia di fatto messo in discussione il ruolo della quota premiale nella distribuzione dei fondi e i suoi effetti oramai comprovati. Sui criteri di distribuzione della quota didattica Mancini stesso ammette che la soglia dei 20 crediti non è un parametro in grado di dare indicazioni affidabili rispetto a quello che si intenderebbe valutare. Chiede di aprire un confronto serio sul tema della valutazione della didattica e si mostra disponibile a ricevere suggerimenti. Ma la questione centrale, su cui abbiamo interesse a confrontarci prima di tutto, non è un indicatore più o meno buono, bensì l’utilizzo che se ne fa. La valutazione della didattica, come qualsiasi altro tipo di valutazione, non può essere utilizzata per ripartire i fondi e classificare gli atenei ma deve avere come unico fine quello di migliorare la didattica stessa, l’offerta formativa e il contenuto e le modalità di svolgimento dei corsi.
L’aspetto preoccupante dell’intervento di Mancini è il punto che riguarda i finanziamenti. Dall’intervento trapela un certo affanno nel rimarcare le poche note positive di una situazione chiaramente disperata, mentre pare mancare un disegno generale rispetto all’intervento che serve sull’università, sia rispetto all’entità dei finanziamenti necessari che rispetto alle modalità di distribuzione. Attribuendo l’attuale situazione ai vincoli di leggi preesistenti ci si concentra si interventi correttivi e paliativi che però sono ben lontani da fornire all’università italiana una possibilità di ripresa.
Altro punto toccato riguarda sicuramente le voci che parlano dell’uscita dell’università dal diritto amministrativo. Mancini si mostra sfavorevole a questa possibilità, preoccupato dall’avvento della contrattazione e, addirittura, dei sindacati. In realtà il problema è ben diverso, nelle bozze di BuonaUniversità si parla di una maggiore autonomia degli atenei, ma al posto di riflettere su come eliminare l’eccessivo peso burocratico causato dalla recente normativa, anche in campo di valutazione, si vuole togliere le università da quella regolamentazione essenziale che caratterizza un ente che svolge un servizio pubblico e che, in virtu di questo, deve sottostare a regole ben precise. Il vero problema non è la sindacalizzazione degli atenei, ma la logica aziendalista che si nasconde sotto questo progetto che, invece di adattare il diritto amministrativo alle particolarità dell’università, pretende di importare il modello dell’azienda in un ente pubblico secondo la stessa logica della Riforma Gelmini e delle politiche universitarie degli ultimi anni.