Lunedì 12 Settembre si è conclusa la consultazione prevista dall’Agenzia Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR) riguardo alle nuove linee guida riguardanti le procedure di Accreditamento Periodico previste dal Decreto AVA (Autovalutazione, Valutazione e Accreditamento).
Di seguito il parere che abbiamo inviato all’Agenzia.
Le linee guida della cd. AVA 2.0 sembrano segnare un netto mutamento delle procedure di accreditamento che hanno caratterizzato le prime esperienze degli anni passati. Di fronte a un documento che modificherà in maniera sensibile molti processi interni alla comunità accademica riteniamo doveroso esprimerci, sfruttando la consultazione aperta da ANVUR. Non ci illudiamo, tuttavia, rispetto a questo passaggio e non crediamo che sia possibile contribuire in alcun modo al miglioramento dei processi di valutazione, autovalutazione e accreditamento ad oggi esistenti, rimanendo nel solco tracciato dal decreto AVA e dalla riforma Gelmini: nonostante le modifiche anche sostanziali proposte e alcune nette autocritiche avanzate nel documento, permangono i limiti non superabili dell’attuale sistema di valutazione del sistema universitario, sia in termini di finalità e obiettivi, sia in termini di metodi e strumenti utilizzati.
Non possiamo, in primo luogo, ignorare come AVA 2.0 si inserisca nel momento di massimo discredito dell’operato dell’ANVUR. L’esperienza fallimentare della VQR 2011-2014 ha messo in luce tutte le criticità, già a suo tempo denunciate della nostra organizzazione, dell’Agenzia. Si è evidenziato, contrariamente a qualsivoglia buona prassi in materia di valutazione che prevede il coinvolgimento dei soggetti valutati nei processi di valutazione e una collaborazione reciproca da parte di entrambe le parti, un atteggiamento autoritario e scarsamente incline da parte dell’ANVUR, che, lungi da creare un consenso diffuso sul suo operato, ha incrementato le fratture interne al mondo accademico. In questo contesto anche il giudizio su questa consultazione non può che essere critico. Vi è, in primo luogo, la convinzione che si sarebbero potute svolgere ben altre forme di riflessioni comuni con gli Atenei, anche nella loro componente studentesca, i quali hanno dovuti subire in questi anni -e pertanto ben conoscono- le disfunzioni delle procedure AVA. Una consultazione telematica rappresenta, quindi, un tentativo di coinvolgimento minimo dei soggetti interessati, in un momento in cui la credibilità di ANVUR, per errori che ormai cominciano ad essere ammessi dalla stessa Agenzia, è fortemente compromessa. In secondo luogo rileviamo una critica più radicale che, dal nostro punto di vista, mina nel profondo il senso stesso di AVA 2.0. L’ANVUR, da quando è stato costituita, ha raccolto una serie continua di fallimenti in tutte le principali procedure a cui è stata preposta, quali VQR, ASN ed AVA. Pensiamo che sia indispensabile un nuovo intervento da parte del decisore politico per ridefinire nel profondo il ruolo dell’ANVUR nel nostro sistema universitario. Per queste ragioni pensiamo non spetti all’Agenzia operare una auto-riforma di se stessa, come quella che emerge dalle nuove linee guida AVA. Al contrario, constati gli errori commessi, ci si sarebbe dovuti astenere da una riforma, che inevitabilmente non può toccare le ragioni costitutive della crisi di AVA, e richiedere al contrario un intervento organico da parte di un soggetto terzo all’Agenzia, in primis il MIUR.
Alla luce di ciò, appare ancora più grave come le nuove linee guida AVA non si limitino ad introdurre soltanto emendamenti puntuali alle precedenti procedure, ma si spingono a ridefinire l’architettura stessa dei processi di assicurazione della qualità. Si interviene in questo modo nella sfera dell’autonomia dei singoli Atenei, comportando una contrazione della libertà di azione degli stessi. Le raccomandazioni previste diffusamente in tutte le linee guida, anche al di là dell’ambito relativo alle procedure di autovalutazione degli Atenei, risultano essere di fatto vincolanti, rientrando, in linea di massima, tra i criteri di accreditamento periodico delle CEV. Si ha, quindi, una sottrazione di potere dagli organi di autogoverno democraticamente eletti dalle componenti di ogni Ateneo e una concentrazione di questo nelle mani di una Agenzia di nomina ministeriale. Ciò rappresenta, secondo noi, una gravissima criticità di AVA 2.0 che non possiamo che denunciare e stigmatizzare.
Un’analisi più approfondita meritano i due principali cambiamenti apportati dalle linee guida AVA 2.0, cioè la ridefinizione delle modalità delle visite delle CEV e il cambiamento delle tempistiche e dei contenuti dei Rapporti di Riesame Al netto di una semplificazione delle procedure, con una riduzione dei Cds valutati e uno sfoltimento degli indicatori utilizzati, rimangono in merito alle CEV criticità di fondo non superabili. In primo luogo la valutazione delle CEV risulta essere calata dall’alto, superando, e talvolta stravolgendo, i meccanismi di autovalutazione messi in campo dagli Atenei. Nell’esperienza di questi primi anni le CEV non sono apparse come un’occasione per instaurare un dialogo virtuoso negli Atenei volto ad innescare forme di miglioramento rispettose delle specificità di ciascuno, ma, come era fin da subito prevedibile, sono risultate uno strumento coercitivo per veicolare e imporre le direttive dell’ANVUR, anche in contrasto con la volontà delle componenti del mondo accademico. Le CEV hanno rappresentato l’emblema della cattiva valutazione, non aperta al dialogo e volta a sostituire al dibattito democratico un’imposizione tecnocratica, giustificata ideologicamente tramite l’esaltazione di un cd. merito. Le nuove linee guida continuano, inoltre, ad interpretare il compito delle CEV in un’ottica puramente burocratica e poco attenta ai concreti effetti delle procedure di autovalutazione portate avanti dagli Atenei. L’attenzione alla valutazione dei processi, seppur meno invasiva di una valutazione diretta, si è in concreto trasformata in un’attenzione al formalismo, che porta ancora una volta a confermare l’inutilità di queste procedure di valutazione.
Oltre a notevoli modifiche in relazione all’accreditamento periodico tramite la visita delle CEV, l’altra novità maggiormente significativa riguarda una ridefinizione dei contenuti e delle tempistiche dei Rapporti di Riesame. La struttura del Rapporto di Riesame annuale, così come delineata dalle nuove linee guida, risulta essere non condivisibile. La scelta di selezionare alcuni indicatori quantitativi, spesso fortemente correlati tra loro e quindi ridondanti, risulta essere fortemente critica. Essa non permette in alcun modo di valutare la reale qualità del corso. Non si può, infatti, ridurre il valore di CdS alla produzione di un determinato output, non considerando le reali modalità in cui si articolare l’erogazione dell’offerta e il valore aggiunto dato da questo processo. Si svilisce in questo modo il ruolo sia del docente che dello studente, applicando un approccio aziendalistico di massimizzazione dell’efficienza estraneo all’ambito universitario. A ciò si aggiunge che la comparazione forzata con gli altri corsi di studio a livello nazionale, lungi dall’essere un reale arricchimento della valutazione, non tiene affatto conto delle particolarità dei singoli Atenei, anche in ragione del tessuto socio-economico su cui insistono. Essa, al contrario, può, al più, indurre un’inutile e dannosa competizione, che non aiuta ad individuare le caratteristiche proprie del singolo corso e a valorizzarle. Non si capisce, inoltre, in cosa debba consistere il breve commento agli indicatori, considerando che le variazioni, al netto di fluttuazioni indipendenti dall’andamento del corso, di rado potranno essere significative tra anno e anno.
A prescindere dai contenuti dei Rapporti del Riesame, diverse problematiche sono presenti in altri singoli passaggi all’interno delle linee guida AVA 2.0. Due criticità particolarmente significative, anche sul piano simbolico, consistono nelle forme di utilizzo dei questionari della didattica e dei risultati della VQR. Nel primo caso non sembra sia dato un rilievo diretto all’espressione del parere degli studenti (significativamente è uno dei pochi dati quantitativi che potrebbe essere a disposizione dell’ANVUR escluso dal Rapporto di Riesame annuale) e l’unica attenzione delle linee guida è, ancora una volta, concentrata sugli aspetti formali relativi alla somministrazione dei questionari e all’analisi dei dati. Si dà invece ampio rilievo ai risultati della VQR per la valutazione del corpo docenti del corso di studio. In questo modo ANVUR riutilizza una valutazione da essa stessa prodotta e altamente contestata dalla comunità accademica. Si rischia, peraltro, in questo modo di trasferire le molte criticità metodologiche che sono state in passato segnalate sulla VQR ad AVA, rendendo pertanto ancora più discutibile il risultato delle procedure di accreditamento. L’immagine complessiva che risulta è comunque chiare: l’ANVUR non è interessata ad ascoltare gli studenti, ma apprezza al contrario riascoltare sé stessa noncurante delle critiche che in merito ha ricevuto in questi anni.
Emerge in maniera trasversale a queste modifiche un approccio da parte del nuovo direttivo ANVUR verso lo snellimento e la semplificazione delle procedure imposte agli atenei e della quantità di dati rilevati. Nonostante ciò, non riteniamo che una procedura più snella consenta di effettuare una valutazione migliore di processi complessi quali la trasmissione e la produzione di saperi, delle attività dei singoli docenti o delle strutture didattiche. A tal riguardo le finalità punitive, i metodi accentratori e ispettivi utilizzati e l’approccio quantitativo adottato rendono sterile un possibile dibattito sul miglioramento dei processi valutativi previsti dal decreto AVA in termini di aderenza alla realtà e capacità di rappresentare il sistema universitario. L’approccio con cui crediamo la comunità accademica debba giudicare le nuove linee guida è più che altro quello della riduzione del danno, ovvero l’alleggerimento di un peso burocratico le cui finalità sono ormai largamente criticate trasversalmente alle varie componenti delle università.
A tal proposito tuttavia, crediamo che la pesante autocritica contenuta nel documento, riguardo all’eccessiva pesantezza delle procedure di accreditamento e di autovalutazione imposte negli ultimi anni agli atenei dal decreto AVA e dalle precedenti linee guida dell’ANVUR non possa essere lasciata cadere nel vuoto. L’ipertrofia delle procedure burocratiche previste fino ad ora costituisce un danno non quantificabile ma sicuramente non trascurabile per gli atenei e il sistema universitario in termini di ore lavoro spese, tempo sottratto non solo alla didattica e alla ricerca ma anche al confronto e alla discussione tra le componenti accademiche riguardo a possibili miglioramenti di questi processi. Riteniamo che a tal riguardo l’assunzione di responsabilità da parte del decisore politico e di ANVUR non possa essere camuffata sotto forma di valutazione tecnica all’interno di questo documento ma debba essere esplicitata e avere come immediata conseguenza la messa in discussione dell’intero decreto AVA e il coinvolgimento in questo processo dell’intera comunità accademica.
Sulla base di tutto ciò, il nostro giudizio su AVA 2.0 non può essere positivo. Le logiche di fondo che animano AVA, fin dalla sua introduzione da parte del decisore politico, non sono affatto condivisibili e l’architettura dei processi di assicurazione della qualità, come illustrato, appare contraddittoria e farraginosa. Allo stesso tempo crediamo che non spetti all’ANVUR operare una riforma organica di AVA e che quanto prospettato, pur apportando qualche miglioramento, sopratutto di alleggerimento del carico burocratico, non risulti nel complesso soddisfacente e sia completamente inefficace nel migliorare la qualità della valutazione nel sistema universitario italiano.