Ieri, 16 settembre, è stato pubblicato un articolo sul Sole24Ore in cui viene fatta un’analisi sul ritorno economico che i laureati hanno una volta inseriti nel mondo del lavoro, sulla “necessaria” trasformazione dell’Università per avvicinarla alle esigenze delle imprese e sui prestiti d’onore da parte delle banche agli studenti universitari per coprire i costi degli studi.
Un articolo inaccettabile, che fa emergere in che modo venga intesa l’Università all’interno del nostro Paese e soprattutto la direzione in cui si vorrebbe trasformare il sistema universitario in relazione alle esigenze del mercato.
Parlare oggi di prestito d’onore e della necessità che gli studenti universitari contraggano debiti bancari, per poter portare avanti il proprio percorso di studi, dimostra che il diritto allo studio non viene inteso come diritto di tutti e tutte di accedere alla formazione. L’accesso all’istruzione per tutti non viene considerato una risorsa centrale per la società tutta, non si vogliono affrontare realmente le carenze del sistema del diritto allo studio nel Paese ma di danno risposte non solo poco utili, ma anche dannose.
In un Paese in cui numerose sono le barriere che impediscono agli studenti di accedere al sistema di istruzione superiore, non si può pensare che il gap di accessibilità all’università venga colmato attraverso meccanismi di indebitamento che portano profitto alle banche, mettono in difficoltà gli studenti che vi accedono, nel momento in dovranno restituire non poche somme di denaro agli istituti di credito.
È invece evidente come il nodo centrale della risoluzione al problema dell’accesso all’università risieda nella quantità di finanziamenti messi dallo Stato per il sistema universitario, a favore delle misure intraprese per garantirne la piena accessibilità, in primis i servizi del diritto allo studio e l’abbattimento della contribuzione studentesca per raggiungere la gratuità dell’istruzione.
Nell’articolo viene inoltre riproposta la questione dello skills mismatch, secondo il quale i laureati nel nostro Paese hanno una formazione troppo elevata rispetto al lavoro che fanno o che viene loro proposto. Si sostiene dunque la “necessaria” trasformazione dell’Università affinchè essa si avvicini alle richieste dell’impresa e l’esigenza di misure volte ad incentivare l’iscrizione a corsi di laurea immediatamente spendibili sul mercato del lavoro.
È inaccettabile che si continui ad alimentare la logica del produttivismo e dell’utilitarismo dei percorsi di studio, fatto che svilisce le lauree umanistiche a discapito di quelle scientifiche, dal momento che queste ultime avrebbero un ritorno economico maggiore per gli studenti e un’utilità maggiore per il progresso della società.
Le richieste del mercato del lavoro provocano e hanno già provocato, non solo una modifica della didattica e dei programmi, ma anche una sostanziale preferenza delle imprese per i corsi scientifici o che producano competenze immediatamente spendibili.
Ci troviamo già di fronte ad un’Università che sempre più propone corsi professionalizzanti, master, modifiche dei corsi di laurea, delegittimazione completa e mancata valorizzazione delle conoscenze, e che nel dibattito sullo skills mismatch è sempre quella che deve cambiare in funzione del mercato del lavoro, senza che venga mai messo in discussione lo stato di cose presenti.
Ogni giorno ci opponiamo a queste trasformazioni, che sviliscono il ruolo della formazione, privano gli studenti del proprio futuro e della possibilità di vivere pienamente il proprio percorso formativo. Crediamo sia necessaria un’Università in grado di formare persone consapevoli, e non solo prodotti per il mercato del lavoro: per questo vogliamo un’Università in grado di incidere sul futuro del Paese, strumento di emancipazione personale e sociale, che permetta a ciascuno di formarsi e intraprendere la carriera professionale che più risponde alle proprie esigenze e ai propri interessi.