[All’interno di questo editoriale verrà usato un linguaggio inclusivo, che cercherà di trascendere il binarismo di genere il più possibile.]
Oggi 25 novembre, nella data internazionale contro la violenza di genere, prendiamo parole collettivamente come studentesse, per raccontare e analizzare il fenomeno delle molestie online, che negli ultimi giorni specialmente ha dimostrato la sua violenza.
Raccontiamo il fenomeno: cosa sono le molestie online?
Il web è lo specchio della realtà che viviamo quotidianamente. La nostra è una società dove subiamo ogni giorno violenze e discriminazioni: in famiglia, al lavoro, nella sanità, in università, sui mezzi pubblici, in coda al supermercato, al parco mentre facciamo una corsa. Durante il lockdown sono aumentati i femminicidi e le chiamate al 1522, il numero nazionale per le donne vittime di violenza domestica e stalking mentre invece nello stesso periodo tanti altri reati di natura diversa hanno registrato un forte calo,a dimostrazione del fatto che la violenza di genere patriarcale si annida nelle nostre case e spazi domestici.A questo punto non dobbiamo sorprenderci se neppure Internet è per noi uno spazio sicuro. Non ci sorprendiamo, ma non accettiamo l’ennesima forma di violenza nelle nostre vite: le molestie online.
Con il nome di “molestie online” possono essere indicati vari comportamenti: dai messaggi sessualmente espliciti indesiderati alle avances inopportune o offensive sui social network o in chat, dalle minacce di violenza fisica e/o sessuale con messaggi di posta elettronica ai messaggi di testo di incitamento all’odio, con un linguaggio che denigra, insulta, minaccia o colpisce un individuo sulla base della sua identità e di altri aspetti, quali orientamento sessuale o disabilità.
Queste forme di violenza sono spesso messe in atto da ex partner che non accettano la fine di una relazione, ma è possibile essere contattate anche da persone sconosciute che per esempio si prendono la libertà di fare domande attinenti alla sfera privata o di chiedere o inviare foto intime.
Spesso questi comportamenti, almeno in un primo momento, possono essere minimizzati. Si tratta però di azioni che sono in ogni caso indesiderate e che possono portare le vittime a non sentirsi al sicuro nei luoghi che frequentano (per esempio, nel caso di una molestia avvenuta in una chat universitaria, una studentessa potrebbe non sentirsi al sicuro nella sua facoltà) e per questo motivo non andrebbero mai ignorate.
Juntas somos mas fuertes: comunità contro individualismo e senso di impotenza
La sensazione che rimane addosso dopo questo tipo di molestie è complessa. E’ difficile riconoscere molestie e violenze come tali già in contesti fisici, ma in una dimensione virtuale lo è ancora di più: l’infiltrazione nel privato dei nostri numeri di telefono, dei social con cui manteniamo i contatti con persone care o famigliari lontani, è difficile da classificare come qualcosa di più di una “scocciatura di qualche tipo strano”. In prima battuta, molte tendono a minimizzare questo tipo di interazioni: “non è niente di che, capirai, è qualche schifoso”. Tuttavia più spesso succede, più ci si rende conto che la questione è sistematica, che il loro strumento più forte è il senso di isolamento e impotenza che si prova di fronte a contatti non consensuali. E così ci si ritrova a temere numeri non salvati, a non interagire più sui gruppi whatsapp e telegram dei corsi, per evitare il più possibile l’esposizione a questi soggetti. Com’è possibile che un uomo si arroghi il diritto di prendere il numero di telefono di una persona e le scriva per molestarla, non stabilendo un’interazione consensuale? Come si può rompere questo ciclo di isolamento e molestia?
Non possiamo poi dimenticare anche casi più strettamente legati alla didattica online, come quello di Lecce, in cui un cultore della materia è stato sorpreso a guardare i profili social delle studentesse presenti ad una lezione mentre era in corso.
E’ proprio nel combattere insieme questo senso di isolamento, di individualizzazione delle molestie che si può trovare la soluzione: segnalare questo tipo di casi nei gruppi in cui si partecipa, contattare chi amministra il gruppo, condividere con chi frequenta il corso l’esperienza. Questi sono solo alcuni dei modi coi quali combattere l’inevitabile senso di impotenza che si prova davanti a un contatto non consensuale.
Una buona prassi può essere inoltre quella di rendere chiaro e manifesto che in questi gruppi non sono tollerati atteggiamenti simili: attraverso linktree o altri link che permettono di avere uno spazio testuale più lungo, si possono scrivere delle linee guida, inserire dei contatti specifici per questi problemi, materiali e risorse di supporto, come indirizzi mail dei Comitati unici di garanzia, Garanti studenteschi, Consiglio studenti.
Dentro i luoghi della formazione: l’educazione sarà femminista o non sarà
Queste prime misure però da sole non bastano. La denuncia (quando è voluta, percorribile e sostenibile) di una singola persona può restare inascoltata e può portarla ad affrontare da sola tutto il successivo iter giudiziario. Per evitare che chi molesta possa continuare con la sua azione, è importante anche una presa di posizione da parte degli Atenei, che per esempio potrebbero raccogliere le testimonianze delle persone contattate e poi sporgere denuncia tramite i loro uffici legali.
Difficilmente una denuncia da parte di un Ateneo viene ignorata da parte delle forze dell’ordine e soprattutto un’azione di questo tipo rappresenta anche un’importante presa di posizione da parte dell’Università contro le violenze di genere subite da membri della comunità studentesca.
In diversi Atenei esistono regolamenti contro le molestie e la figura della Consigliera di Fiducia, che è incaricata di raccogliere le segnalazioni da parte delle persone molestate e di avviare le opportune procedure di indagine.
In alcuni casi questi strumenti hanno limiti anche importanti, per esempio a Bologna fino a poco tempo fa il regolamento molestie escludeva la componente studentesca, prevedeva l’obbligo di un incontro di conciliazione con il proprio molestatore e l’obbligo di segnalare l’evento molesto entro 60 giorni, tutti limiti eliminati dopo una mobilitazione delle studentesse.
La figura della consigliera di fiducia, invece spesso non è conosciuta dalla comunità studentesca. Di fronte a una molestia avvenuta nell’Ateneo è importante invece sapere dell’esistenza di questa figura, che può essere di aiuto per prendere coscienza della natura molesta dell’atto subito e, per chi se la sente, per avviare un percorso di segnalazione e socializzazione dell’accaduto.
Chiediamo inoltre di modificare ulteriormente i regolamenti molestie per inserire una procedura specifica per le molestie avvenute online. Solo perchè lo spazio online è apparentemente oltre le competenze degli atenei, le università non possono lavarsi le mani, non possono permettere che molestie e violenze avvengano dentro gli spazi formanti, fisici e noo.
Nelle scuole, studentesse e studenti tutti i giorni vivono il perpetrarsi di molestie e violenze.
Dal professore che ci squadra, dall’imbarazzo a stare di spalle alla lavagna, dal fischio ricevuto nel corridoio, fino al “sei brava per essere femmina”.
Nei luoghi del sapere, nelle scuole di tutti i gradi, ci insegnano l’impossibilità di essere trattati tutti, tutte e tutt* allo stesso modo.
Una didattica maschile ed esclusiva, schiacciata sulla narrazione storica dell’uomo bianco etero e occidentale, totale maggioranza di autori rispetto alle autrici, nessuna capacità di trasmettere consapevolezza critica tra studentesse e studenti su quale responsabilità abbiano avuto Borghesia e Chiesa nella definizione del ruolo della donna.
Centinaia di casi di imposizioni di dresscode giustificati con “arrivare a che quando c’è un po’ di vento il maschietto dica alla compagna copriti, hai la gonna, può sollevarsi. Mi serve per attenzionare ancora di più la dignità della donna”.
Il Ministero della scuola da anni prova a “ festeggiare la giornata mondiale contro la violenza sulle donne “, quest’anno con un webinar e una live, gli anni scorsi con insignificanti convegni.
Sono ormai 26 anni che gli studenti e le studentesse pretendono che all’interno delle scuole si facciano dei reali passi in avanti nella demolizione dell’eteropatriarcato, finchè non si parla di educazione sessuale consultorie nelle scuole, tutte le azioni culturali del ministero saranno insufficienti. L’educazione sessuale non eterodiretta deve essere impostata come lezione necessaria e con un orario riconosciuto nel programma didattico, al pari di religione, italiano e qualsiasi altra materia.
E’ necessario, poi, garantire organi e spazi giuridici per discutere della condotta di insegnanti, spesso primi molestatori.
[Questo editoriale è stato scritto da studente che fanno politica e rappresentanza nei corsi di laurea e nelle scuola italiane, riportando episodi personali accaduti realmente e riflessioni collettive. Insieme siamo più forti.]