Interpellato da Repubblica, Ivano Dionigi, ex rettore del nostro ateneo e attualmente alla guida del consorzio statistico Almalaurea, ha rilanciato una proposta che aveva già fatto lo scorso anno: la gratuità delle lauree triennali.
Riteniamo utile innanzitutto precisare che la gratuità dei corsi di laurea triennali rappresenterebbe oggi un notevole miglioramento rispetto all’ingente costo, spesso insostenibile e fortemente escludente, dell’Università italiana. Infatti oggi i dati delle immatricolazioni (seppur quest’anno si parli di un leggero aumento) attestano che il nostro paese è tra gli ultimi in Europa per percentuale di immatricolati rispetto alla popolazione. Crisi economica e occupazionale, congiuntamente agli altissimi costi che le famiglie sono costrette a sostenere per le spese dell’università, giocano un ruolo fondamentale in questa spirale regressiva.
Però noi pensiamo che la gratuità dell’istruzione all’interno di un sistema profondamente aziendalizzato, in cui le conoscenze apprese e il sapere prodotto siano esclusivamente funzionali all’immissione di capitale umano nel sistema economico dominante e all’interno di un mercato del lavoro precarizzato ed escludente, si ponga in antitesi rispetto alla missione del mondo della conoscenza, che invece dovrebbe farsi vettore di trasformazione sociale ed economica del paese, per invertire l’attuale modello di sviluppo incompatibile con l’ambiente e la vita.
Forse sarebbe opportuno qualche mea culpa per chi, per anni al vertice dell’Ateneo bolognese, ha sostanzialmente avallato la contestatissima Riforma Gelmini, con annessi tagli e strangolamento finanziario degli atenei, in particolare meridionali, di pari passo alla gestione manageriale degli stessi. Impossibile, infatti, pensare di avere la botte piena e la moglie ubriaca: la privatizzazione dell’università pubblica e la sua gratuità.
Come movimento studentesco, pensiamo che si debba mettere in campo un reale cambiamento dell’università in totale discontinuità con le politiche liberiste degli ultimi anni, che miri a rendere progressivamente gratuito l’accesso agli studi universitari all’interno di una cornice capace di trasformare profondamente il sistema universitario, così come si può apprendere dalla nostra proposta organica di riforma radicale dell’università – Nuova Università – in cui si affrontano, tra gli altri, i temi del mancato finanziamento, dei rischi della valutazione, della carenza di personale, della governance, del welfare, della progressiva gratuità dell’università. Allo stesso modo la pensano diversi movimenti studenteschi in giro per il mondo: dall’Inghilterra al Cile e al Sudafrica la mercificazione dell’istruzione è sempre più contestata da chi si trova poi a pagarne i costi.
Cogliamo l’occasione delle dichiarazioni dell’ex rettore a Repubblica, per spogliarle dall’utilizzo strumentale e per proporre una seria riflessione sullo stato dell’università nel nostro paese, sulle colpevoli posizioni del governo, sulle nostre richieste per rendere davvero possibile un’inversione di rotta. Partiamo dalla situazione reale dei nostri atenei.
Il Rapporto della Fondazione Res ne fornisce un quadro desolante. Il sistema universitario italiano, che già soffriva di problemi di sottofinanziamento, ha perso negli ultimi anni quasi un quinto della sua dimensione in termini di studenti, docenti, personale non docente, corsi, finanziamenti. Inoltre l’accesso all’istruzione superiore, settore nel quale molti paesi europei (Germania in primis) hanno aumentato gli investimenti, è sempre più precluso alle classi sociali meno abbienti e a chi viene da un diploma tecnico. A causa delle elevatissime tasse e dell’insufficienza vergognosa nelle misure di diritto allo studio (da noi meno di uno studente su dieci ha un qualche aiuto statale per studiare, contro il 30% della Spagna e il 35% della Francia), l’università sta tornando ad essere sempre più escludente e classista. Sotto la scure dei tagli e della privatizzazione strisciante della formazione accademica, si perde ogni obiettivo sociale: vengono meno la democratizzazione del sapere e il ruolo degli studi come strumento di ascesa sociale e contenimento delle diseguaglianze, mentre fra qualche anno l’università non potrà essere varcata da una fetta sempre più consistente di giovani condannati alla precarietà e ai bassi salari offerti dal poco innovativo settore produttivo italiano.
Nel frattempo il governo Renzi, dopo aver dato il colpo di grazia alla scuola, pare abbia rinunciato all’ennesima controriforma organica dell’università limitandosi a proseguire sulla traiettoria della Gelmini. Nessun miglioramento, nessun ripensamento è in vista. Anzi è presente, stando ai pronunciamenti di vari esponenti di primo piano (dalla Puglisi sino al premier stesso), la volontà di far fuoriuscire l’università dalla Pubblica Amministrazione, ossia l’atto definitivo di un lungo processo di privatizzazione e di americanizzazione del sistema universitario. Questo avviene mentre nel dibattito per le presidenziali del Partito Democratico americano, in primo luogo Bernie Sanders ma anche Hilary Clinton si sono soffermati sulla necessità di rivedere in senso europeo un sistema universitario fallimentare, classista, fondato sull’indebitamento di massa degli studenti. Ma si sa nel nostro paese si riesce sempre a essere più realisti del re, più americani degli americani.
Se poi ci spostiamo ai fatti concreti di questo governo, vediamo quanto lontani siamo da un’inversione di rotta rispetto alle politiche di diritto allo studio e welfare.
Pensiamo al nuovo calcolo Isee, che si è tradotto nella perdita di migliaia borse di studio: una situazione drammatica vissuta dagli studenti che solo con ripetute mobilitazioni siamo riusciti a temperare in alcune regioni, come qui in Emilia Romagna. Nonostante le criticità evidenti, sottolineate anche dai rettori, il governo ha fatto orecchie da mercante. Inoltre, la maggioranza ha bocciato un emendamento in legge di stabilità che chiedeva di estendere gli ammortizzatori sociali ai precari dell’università, mentre ne accoglieva altri che aumentavano i fondi alle scuole private e cancellavano le tasse sulle imbarcazioni di lusso. Per il sottosegretario Faraone, d’altronde, i precari dell’università (circa il 48% del personale) non sarebbero lavoratori, nonostante i contributi che versano alla gestione separata INPS.
Un governo di classe, che spreme chi sta in basso per redistribuire ricchezza verso l’alto: il mondo della formazione è sacrificato sull’altare della continuità delle fallimentari politiche neoliberiste. Noi, che abbiamo sempre contestato lo smantellamento dell’università pubblica e chiesto un cambio radicale, pensiamo che le chiacchiere stiano a zero.
Ma non siamo, come ama descriverci il premier, gufi e professionisti del no: vogliamo, al contrario, giocare all’attacco e non di rimessa per conquistare ciò che si spetta. Noi sosteniamo che impostando politiche radicalmente differenti si possa rendere davvero gratuita l’università e realmente accessibile.
È tempo di rivendicare a testa alta ciò che ci spetta. A chi, per subalternità o per malafede, dicesse che i soldi non ci sono, rispondiamo che non è vero. Il rapporto di Oxfam sulla diseguaglianza ci dice infatti che, nel nostro paese, l’1% più ricco della popolazione detiene il 23,4% della ricchezza nazionale: le risorse stanno lì e vanno redistribuite verso chi ha pagato i costi della crisi e non ne può più di caricarsi sulle spalle sacrifici vessatori ed ingiusti.
Link Bologna
Qui un approfondimento sulla situazione attuale e sulla necessità di un’ istruzione gratuita