Gli studenti inglesi nel conflitto sociale

Gli studenti inglesi nel conflitto sociale

by / Commenti disabilitati su Gli studenti inglesi nel conflitto sociale / 13 View / 5 Dicembre 2010

Alberto Toscano* su il Manifesto – dicembre 2010
«Non dobbiamo più invidiare la Francia». Così dichiarò uno degli studenti universitari dopo «l’assedio» della sede del partito conservatore tre settimane fa. Da allora, le manifestazioni si susseguono con ritmo incalzante, nonostante la risposta dura della polizia. Il numero di occupazioni universitarie continua a crescere, e l’impressione è che gli studenti si preparino per una lunga battaglia.
È dai tempi dalla rivolta contro la Poll Tax di Thatcher che il conflitto sociale non si manifesta così chiaramente in Inghilterra. Non siamo in presenza semplicemente di un movimento di studenti universitari e medi (le future vittime dell’aumento del 300% dei costi d’iscrizione) e, in maniera per adesso minore, dei docenti. Gli studenti stanno già stringendo legami con lavoratori pubblici (i tagli stanno già decimando i servizi sociali a livello dei councils), e, con un certo ritardo, si prospetta una risposta sindacale unitaria in primavera. Persino Ed Miliband, capo dei laburisti, è stato spinto a pubblicizzare il suo sentirsi «socialista» (parola tabù nell’era di Blair), anche se non ci sono illusioni tra studenti e sindacati che la mutazione di Labour in New Labour, ovvero il passaggio da un orizzonte social-democratico a un neo-liberismo soft, sia facilmente reversibile.

 


Studenti come clienti-consumatori

Da un certo angolo prospettico, i tagli alle università possono apparire semplicemente come una prosecuzione dell’introduzione delle tuition fees da parte dei laburisti. E infatti lo studio di Lord Browne, ex-direttore della British Petroleum, che ha impostato la politica del governo attuale su basi impeccabilmente neo-liberiste (le università trasformate in enti concorrenziali alla ricerca di studenti concepiti come clienti-consumatori), era stato commissionato da Gordon Brown. Ma la coincidenza di un governo la cui identità di classe è palese (23 millionari su 29 membri del gabinetto), il disprezzo secolare per i Tory, il tradimento dei Lib-Dem (che avevano promesso di opporsi all’aumento dei costi universitari, conquistando una fetta considerevole del voto studentesco), e un discorso di austerità che maschera malamente la socializzazione regressiva degli effetti della crisi ha creato un clima politico potenzialmente esplosivo. Gli slogan neo-populisti del governo – la Grande Società (Big Society) e Siamo Tutti Coinvolti (We Are All in It Together) – sono nati morti. E più passa il tempo più l’epoca New Labour è vista come un prologo, in parte celato da una curva economica in ascesa, delle politiche della coalizione Con-Dem (l’omofonia con condemn, condannare, è voluta; è stato persino proposto di battezzare il movimento studentesco quello dei ConDemned, i condannati).

La maturità politica del movimento

Dopo la traumatica sconfitta di classe degli anni ottanta e la lunga atrofia dell’azione collettiva e della vita pubblica degli ultimi due decenni, sorprende la maturità politica di un movimento che nasce con esigue basi materiali e poca memoria politica – ma con un sentimento acuto dell’intollerabilità del presente. Indubbiamente, l’esperienza del movimento contro le guerre in Iraq e Afghanistan, e prima ancora le varie iniziative no-global, hanno inciso sul senso comune dei manifestanti. Ma nelle loro modalità come nei loro obiettivi rimanevano proposte politiche finalmente incapaci di legare una spinta anti-sistemica con la vita quotidiana. La loro radicalità rimaneva ideale, senza possibile verificazione. Sono movimenti che hanno costruito solidarietà, ma che in gran parte non si potevano tradurre in tentativi di trasformare i rapporti di potere. In conseguenza, loro forte carica simbolica non si è tradotta in cambiamenti duraturi nell’agire politico.
Un futuro strutturato dal debito; il ritorno di un’educazione esplicitamente di classe; la crescita ulteriore della forbice dei redditi; e lo smantellamento definitivo del retaggio di quel compromesso post-bellico, incarnato innanzitutto dalla sanità pubblica (il National Health Service), che ha dato vita al welfare state: questo è l’orizzonte del presente in Inghilterra. Certi, come le loro controparti italiane, presentano questo movimento come conservatore. I ragazzi che hanno invaso la sede dei Tory a Millbank, sono forse eredi di Beveridge più che di Bakunin. Ma sono pure consapevoli che la social-democrazia non esiste più, che i concetti di pubblico e di comune sono da reinventare, e che l’università la si difende solo criticandola, trasformandola.
La Terza Via si è rivelata un vicolo cieco, e la colonizzazione di tutta la sfera pubblica da logiche manageriali-concorrenziali, spinta da New Labour, sta proprio adesso mostrando la sua funzione di strumento di controllo e sfruttamento. Nel mondo universitario, questo neo-liberismo che perde rapidamente il suo «volto umano», si esprime in un discorso manageriale che si riferisce ad altre università semplicemente come our competitors, i nostri concorrenti.

Sfide concrete, istituzionali

Gli studenti colgono bene il problema e tra le richieste nelle loro occupazioni hanno incluso quella di ridemocratizzare lo spazio universitario, di farla finita con la falsa neutralità di un ceto manageriale sempre più numeroso e sempre meglio pagato (per non dir niente della galassia di consulenti vari), e di stabilire, soprattutto nel contesto dei tagli universitari, forme di decisione collettiva sulla distribuzione delle risorse delle università (come delle autorità locali). È su questo terreno che il sindacato dei docenti dovrà seguirli. Questa lotta non ha come obiettivo i curriculum universitari, né l’autorità dei professori (che protesteranno in massa insieme a gli studenti il 9, il giorno del voto su i tagli), ma il legame tra economia, educazione e vita collettiva. È una lotta che non ha obiettivi simbolici, ma sfide concrete, istituzionali. Sta riscoprendo la virtù del partire da lotte che non mirano al sistema in quanto tale, ma che possono scardinarne le premesse se portate avanti con lucidità e tenacia. A prima vista, non vi è nulla di rivoluzionario nelle richieste degli studenti. Guardando bene, invece, si prospettano quelle che Gorz chiamò riforme non-riformiste, quelle che società che si stanno mostrando (nei campi economici, ambientali, geopolitica) irriformabili, non potranno accogliere senza trasformarsi in profondità.

* docente di sociologia alla Goldsmiths University of London