Ha suscitato scalpore la recente sentenza del TAR Milano sul ricorso avverso l’Università degli Studi di Pavia relativa all’importo delle tasse universitarie per gli studenti. Una sentenza che potremmo definire storica perchè legittima, ancor più di un articolo di legge spesso dimenticato, la battaglia quotidiana delle organizzazioni studentesche e dei loro rappresentanti contro l’incremento ingiustificato e sproporzionato delle tasse e dei contributi universitari.
Da dove nasce il ricorso? Dal mancato rispetto da parte dell’Università di Pavia del limite previsto dall’art. 5 del DPR 306/1997 che stabilisce che il rapporto fra tasse universitarie (contributi e tassazione) e quanto finanziato dal Ministero mediante il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) non possa superare il limite del 20%.
Tale limite, non abrogato dalla recente riforma Gelmini, è stato più volte utilizzato dalle rappresentanze studentesche come deterrente per scongiurare aumenti considerevoli delle tasse universitarie e per avviare un serio dibattito su una riforma in senso equo e progressivo delle stesse. Se nel maggio del 2010 a Bari, durante le occupazioni contro gli aumenti delle tasse contenuti nel piano di risanamento dell’Ateneo, si è riusciti a strappare la promessa – poi mantenuta – del rispetto di tale limite, in altre Università i rettori hanno preferito far cassa indipendentemente dal rispetto della legge. Tale pratica si è particolarmente diffusa negli ultimi anni, a fronte dei costanti tagli operati a partire dalla l.133/2008 – in parte rimpinguati, ma senza alcun preavviso che potesse garantire una programmazione finanziaria adeguata – e che hanno portato molte Università a dover rivedere i propri meccanismi di finanziamento, comprimendo le spese non-fisse (servizi agli studenti e politiche di diritto allo studio) e agendo sulle entrate certe (tasse e contributi).
Molto spesso ciò è accaduto facendo leva sull’anacronismo del limite del 20% in un contesto mutato. Così, secondo le ultime stime, 33 su 61 Atenei risulterebbero al momento fuorilegge. Otto Atenei in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. E se la sentenza comunque rende giustizia e rappresenta un precedente importante per le rappresentanze studentesche, il sentore è che i rettori tenteranno di portare a casa un risultato che non li metta in contraddizione e che permetta loro di incrementare le entrate a parità di contributi statali.
Le premesse non sono incoraggianti. Sia perchè la CRUI ha più volte ribadito l’anacronismo del tetto del 20% alle tasse universitarie, propendendo per la sua sostituzione con un “valore assoluto parametrato al valore aggiunto provinciale [..] in relazione al PIL pro capite regionale o provinciale” [Promemoria CRUI – 6 luglio 2011], sia perchè con l’ormai famosa lettera alla BCE del precedente Governo Berlusconi ci si è impegnati alla liberalizzazione delle tasse universitarie ed alla messa in concorrenza delle Università.
Una tesi, quest’ultima, che aderirebbe pienamente al modello inglese così come sostenuto nei mesi scorsi in un’interrogazione bi-partisan presentata da Ichino e dagli economisti di Confindustria e de “Il Sole 24 Ore” nella scorsa estate ma che non centra – e non vuol centrare – il problema reale: quello della equità e della progressività nella determinazione delle tasse e dei contributi e della copertura totale delle borse di studio per i circa 180.000 idonei.
Leonardo Madio
LINK – Coordinamento universitario / Rete della Conoscenza
Consigliere di Amministrazione – Università degli Studi di Bari
(04 dicembre 2011) – www.roars.it