Professioni sanitarie: facciamo chiarezza!

by / Commenti disabilitati su Professioni sanitarie: facciamo chiarezza! / 206 View / 5 Gennaio 2019

Il corposo testo della manovra, approdato sugli scranni del parlamento blindato, ha portato quest’ultima settimana dubbi nel mondo sanitario.
Il testo della manovra tocca la sanità in diversi modi (http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=69393): dal debole stanziamento delle borse di specializzazione alla ricerca, dal fondo per la riduzione delle liste d’attesa alle risorse per ammodernare l’edilizia sanitaria.


Particolare clamore ha fatto il comma 283 bis della manovra riguardante le professioni sanitarie, comma passato nei media e nei social come “salva abusivi” “condona abusivi” e simili. Associazioni di categoria sono immediatamente insorte mentre la Ministra Grillo ha rimandato indietro le accuse e parla di aver salvato il posto di lavoro di decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori in tutta Italia, che hanno svolto per anni la loro professione, nella piena regolarità e con tutti i titoli a posto. In un certo senso si può dire che entrambi hanno ragione.

 

Ma facciamo un passo indietro.
Il decreto attuativo della legge del 3 gennaio 2018 dell’allora Ministra Lorenzin, “istituzione degli albi delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione presso gli Ordini dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione” istituiva 17 Albi professionali che, come si può già immaginare dal titolo, ricoprivano lavori molto diversi tra loro, con una storia molto diversa: troviamo logopedisti, tecnici radiologici, podologi, educatori…


Nel corso degli anni la formazione necessaria e riconosciuta per accedere a queste professioni è stata eterogenea, usando un eufemismo, spesso con grandi differenze regionali. Per fare un esempio la figura dell’educatore professionale è relativamente recente. Ancora oggi si trovano persone che svolgono questa professione che sono passati dai corsi regionali post diploma, oppure dalla laurea in Pedagogia, prima dell’istituzione della laurea in scienze dell’educazione. La laurea in scienze dell’educazione, quando è comparsa, è stata strutturata in modo molto diverso tra i diversi atenei che facevano ricadere sotto la dicitura di “educatore” offerte formative anche molto distanti l’una dall’altra, secondo il principio dell’autonomia degli atenei. In tempi ancora più recenti il corso di laurea è stato nuovamente riformato portando a differenziare la figura dell’educatore professionale socio-pedagogico da quello di educatore sanitario. Tutte queste persone hanno acceduto al mercato del lavoro e svolgono quotidianamente il loro lavoro nelle strutture residenziali, riabilitative e sanitarie pubbliche, private e convenzionate.


Altro discorso riguarda ad esempio la figura dei fisioterapisti. L’Associazione Italiana Fisioterapisti (A.I.Fi., principale associazione di categoria) ha svolto negli anni una battaglia per la valorizzazione e il riconoscimento della figura del fisioterapista e più volte si è espressa a favore dell’istituzione di un albo che facesse chiarezza sulla qualifica e i requisiti per accedervi. Come “Chi si cura di Te?” non piace parlare a nome degli altri per cui, anche per crescere e stringere relazioni con altre figure del mondo sanitario, in questi giorni stiamo parlando con sindacalisti, rappresentanti di categoria e giovani lavoratrici e lavoratori per aiutarci a capire meglio questa situazione e nei prossimi giorni lasceremo che siano le loro voci, e non quelle di noi giovani medici, a dire la loro su questa situazione. Intanto avanziamo delle considerazioni sulla questione.
Dall’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale 40 anni fa in poi, molto nel mondo della sanità è cambiato. A figure più storiche e tradizionali e universalmente riconosciute come il medico e l’infermiere, si sono affiancate un gran numero di professioni e competenze, anche in virtù di un concetto di sanità e salute che si è evoluto nel tempo, includendo una sempre maggiore attenzione alla prevenzione e alla riabilitazione.


Nel crearsi di queste figure professionali, anche in accordo con la cultura dell’epoca, si è fatta poca attenzione a un’omogeneità nazionale nel definire titoli e requisiti. Quando Lorenzin ha provato a normare questa situazione, anche nell’interesse di garantire qualità di cura e prestazioni per i pazienti, ha tenuto poco conto della specificità dei singoli casi e ha creato una soluzione per tutti uguale, ovvero il proliferare di Ordini e Albi professionali creando, di fatto, l’assurdo per cui persone competenti, o almeno ritenute tali fino a questo momento e che svolgono il loro lavoro da anni, si sono trovati nella situazione di non avere il titolo necessario per accedere all’Albo e continuare a esercitare la loro professione (perché all’epoca in cui si sono formati, semplicemente non esisteva!).
La misura prevista dalla manovra non condona la professione abusiva. Nonostante quello che si legge sui media principale, se vostro zio architetto negli ultimi dieci anni ha praticato come dentista in cantina non può chiedere di iscriversi all’albo dei medici e odontoiatri, ad esempio (anzi, se lo facesse si auto denuncerebbe per abuso della professione, perché questa misura non cancella questo reato, non lo condona, non lo depenalizza né altre imprecisioni che stanno passando in questi giorni).


Per scongiurare lo scenario concreto che all’improvviso le strutture sanitarie si trovino senza personale e dover richiedere a lavoratrici e lavoratori con 30 anni di esperienza di iscriversi a un corso universitario, magari nemmeno disponibile nella propria regione, e poi abilitarsi alla professione per riprendere a lavorare, il Ministero è dovuto intervenire.

Esattamente come la precedente Ministra Lorenzin, anche Grillo non ha tenuto conto della singolarità dei casi che sarebbe andata a normare, ed ha proposto una misura unica, che per quanto evidentemente necessaria, lascia dei dubbi sulla possibilità di sanare qualche abusivo, soprattutto per la scarsa attenzione alla verifica delle competenze e alla valutazione dei percorsi formativi, ma soprattutto per aver inserito nella misura, oltre a chi ha lavorato in strutture pubbliche e private, anche gli autonomi, con tutte le perplessità che ne derivano.

In pratica, ad una prima valutazione, al di là delle critiche legittime da parte dei rappresentanti degli Albi, che pare non siano stati minimamente coinvolti nella definizione di questa norma (e questo per noi chiaramente rappresenta un enorme problema di partecipazione ed autodeterminazione delle categorie professionali), l’Articolo sembrerebbe semplicemente sanare una situazione de facto, anche se l’apertura alla regolarizzazione anche di chi ha praticato in libera professione non fa ben sperare rispetto alle intenzioni del Ministero. La partita ora sembra giocarsi sull’attuazione della norma.

Resta il nodo centrale, che non riguarda, secondo noi, la titolarità dell’accesso alla professione (norme come questa sono evidentemente “ad esaurimento”, perché tra cinque/dieci anni il Servizio vedrà solo personale formato attraverso i corsi di laurea universitari), quanto piuttosto l’accesso alla professione in sé. Non si tratta quindi di avvitarsi in scontri incrociati tra professionisti titolari o meno, quanto di lavorare insieme, anche al di là degli albi che spezzettano il comparto sanitario, per ottenere lavoro e fornire assistenza.

Chi Si Cura di Te?

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