Si è tenuto ieri il Senato Accademico che ha discusso, tra le altre cose, della proposta del Rettore di voler abolire i test d’ingresso per accrescere il numero di immatricolazioni alla nostra università.
Come temevamo, da parte dell’Università non c’è nessuna intenzione di voler abolire il numero chiuso, cosa che richiederebbe una battaglia politica profonda e duratura (che evidentemente non si ha il coraggio o l’intenzione di condurre) in quanto andrebbero messi in discussione i parametri ministeriali per il mantenimento dei corsi di laurea e la mancanza di risorse che impedisce ad oggi di avere una didattica di qualità.
L’unica volontà palesata è stata quella di ridurre i costi legati agli studenti e di aumentare quanto più possibile le entrate dagli stessi, tramite la tassazione e i finanziamenti statali parametrati sul numero di immatricolati, seguendo quindi una logica aziendalistica, senza interrogarsi sull’accessibilità alla formazione universitaria, sul diritto allo studio, sulla volontà di investire nella Conoscenza per una società migliore, motivo per cui siamo stati (unici rappresentanti degli studenti presenti…) fortemente contrari e critici verso le proposte approvate, ovvero:
-anticipo della data di apertura delle immatricolazioni al 15 luglio e sconto di 51 euro sulle tasse a chi si immatricola entro i primi 15 giorni: secondo l’Università la fuga degli studenti si argina con queste mosse da discount anziché investendo sulla qualità della didattica e della ricerca. Scatenare questa corsa alle immatricolazioni giocando con la vita delle persone (pretendendo che il 15 luglio chi ha appena finito gli esami di maturità abbia già le idee chiare sul suo futuro), obbligandole a scegliere in un contesto di forte precarietà e incertezza esistenziale è quanto di più becero si potesse fare. Inoltre, lo sconto di 51 euro non sarebbe rivolto ai redditi più bassi, che già godono di esenzioni totali o parziali. Perché non lavorare su un sistema contributivo maggiormente progressivo invece, come da tempo proponiamo? Una mossa che assomiglia molto a quella degli 80 euro di Renzi.
-abolizione del test d’ingresso per corsi a numero programmato locale con scarse immatricolazioni: la nostra offerta formativa prevede, per una serie di corsi, il test d’ingresso anche qualora da tempo il numero delle immatricolazioni sia al di sotto della soglia massima consentita dai decreti ministeriali, per evitare che, superata questa, il corso venga chiuso “dall’alto” a causa della mancanza di docenti dovuta al blocco delle assunzioni. Anziché lottare contro questa logica di tagli e imposizioni, l’università ha deciso di modificare il criterio di selezione per questi corsi (non per tutti, quindi) mantenendo il numero programmato. D’ora in poi la selezione sarà effettuata secondo la legge della giungla del “chi prima arriva, entra”, inasprendo la competizione al ribasso e la guerra tra poveri che già il test innescava tra gli studenti. Il tutto per risparmiare sui soldi che l’Ateneo spende per i test e per evitare di dover rimborsare agli studenti la tassa di iscrizione alla prova,
che, dal prossimo anno, come abbiamo richiesto, sarà rimborsata se il test dovesse essere annullato. Ci chiediamo cosa potrà scatenarsi il 15 luglio, e cosa succederà a chi vorrà prendersi un po’ di tempo in più per ragionare meglio su cosa fare della propria vita per poi scoprire di essere arrivato troppo tardi.
-apertura dei corsi singoli anche ai non laureati: fino ad oggi era possibile, per i laureati, iscriversi a singoli esami fino a un massimo di 30 CFU all’anno. Aprendo questa possibilità anche ai non laureati, l’Ateneo prova a fidelizzarsi gli studenti che non dovessero riuscire a immatricolarsi ai corsi a numero chiuso, consentendogli di anticipare degli esami da convalidare successivamente, oltre ad incamerare una quota in denaro notevole (350€ + 50€ per ogni CFU, quindi fino a 1.850€ a persona, per cui non tutti potranno permetterselo). Ci chiediamo: la qualità della formazione di chi frequenta 3-4 esami sarà la stessa di chi frequenterà sistematicamente un corso di laurea? Non ci sarebbe il rischio che la qualità dei corsi venga messa a rischio dal fatto che possano frequentarli più studenti di quanti le aule e i docenti possano sostenerne? Non si applicano, ancora una volta, parametri di mercificazione alla Conoscenza (esami un tanto al chilo, secondo logiche che al momento non comprendiamo)? Non si rischia di illudere uno studente, dato che non è detto riesca a superare il test l’anno successivo?
Ci opponiamo fortemente a queste logiche di marketing, che vedono la nostra formazione solo come un’attività su cui dover capitalizzare entrate economiche, e crediamo invece che il mondo universitario debba interrogarsi seriamente sul suo ruolo nella società, sulla deriva che l’università sta prendendo, sempre più elitaria, classista ed escludente, e, sulla base di questa riflessione, fare una seria programmazione di investimenti per migliorare la propria offerta formativa sul piano qualitativo e quantitativo.
Possiamo dire con sicurezza che attualmente noi studenti siamo visti solo come una spesa, quando invece siamo la prima ragione di esistenza dell’ateneo, e che l’unica pubblicità positiva che questo può ricevere è quella che gli fanno gli studenti iscritti, a patto ovviamente che i servizi offerti siano all’altezza delle necessità. Ad oggi possiamo dire che sia così? A voi la risposta.
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